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Forlì

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Ha origini preistoriche ma l'organizzazione della città inizia nel III sec. a. C. Nel 190 a. C. appartenne ai romani con il nome di “Forum Livii” fece parte dell'Esarcato di Ravenna, dominata dai bizantini e dai longobardi fino a quando divenne un libero comune ghibellino nel sec. XI. Uscì vittoriosa dalla guerra contro Bologna al comando di Guido da Montefeltro nel 1275 e in seguito fu soggetta alla signoria degli Ordelaffi. Raggiunse il massimo splendore con Pino III, despota feroce e mecenate illuminato. Passò a Girolamo Riario, alla sua vedova Caterina Sforza, al Valentino per poi rientrare nello Stato pontificio, quindi ai francesi nel sec. XVIII e infine al Regno d'Italia.

Monumenti
Abbazia di S. Mercuriale: risale a cavallo del periodo antico e l'inizio del medioevo, è l'edificio più noto della cittadina e uno dei simboli dell'intera Emilia-Romagna; l'attuale edificio in stile romanico lombardo venne terminato nel 1180 insieme al campanile la cui altezza raggiunge i 76 metri circa e nel suo genere è uno dei più alti d'Italia.
Essa si presenta esternamente in mattoni color rosso forlivese con la caratteristica facciata romanica a capanna e suddivisa in tre parti, con quella centrale che ospita il rosone la lunetta e il portale marmoreo; sia la facciata che il campanile presentano una decorazione in mattoni con archetti sorretti da colonnine sul prospetto, risalti verticali e cornicioni orizzontali sul campanile.
Il Chiostro: dopo secoli di abbandono venne finanziato anche da Mussolini, al centro si trova il pozzo del sec. XVII; gli affreschi delle lunette riportano la vita di S. Giovanni Gualberto fondatore dell'ordine Vallombrosani.
Il Portale: è costituito da sottili colonne di marmo chiaro finemente scolpite, due delle quali tortili non giungono fino a terra ma completate nelle stesse forme in laterizio; esse proseguendo verso l'alto circondano la lunetta, la quale contiene il pregevole complesso scultoreo raffigurante il “Sogno e adorazione dei Magi”.
Il portale è in legno intagliato e dipinto, i due battenti sono suddivisi in più riquadri nei quali sono applicate alcune formelle, in cui una di esse reca la data 1651. Il Campanile è in mattoni color rosso e a pianta quadrata poggiante su piedistallo in pietra, alla sommità svetta un'alta guglia in mattoni di forma conica con coronamento in pietra, arricchita da globo, banderuola e Croce con altezza di 22,40 metri. La guglia a sua volta viene circondata da quattro torroncini; detto campanile di S. Mercuriale all'epoca della sua costruzione era considerato una delle meraviglie del Regno d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale fu minato dai tedeschi in ritirata, ma venne salvato dall'intervento energico del parroco “don Giuseppe Prati“.
L'interno a tre navate divise da pilastri e colonne in laterizio. La navata destra custodisce: la vasca battesimale oggi adibita ad acquasantiera scolpita in pietra locale del XVI sec. con basamento esagonale in marmo e decorato con foglie di acanto; 23 lunette superstiti di 30 dipinte ad affresco e un tempo collocate nel chiostro.
Alla parete destra vi è addossato il monumento funebre dedicato a Barbara Manfredi il quale venne realizzato tra il 1467/68 dallo scultore fiesolano Francesco di Simone Ferrucci; verso la porta che conduce al chiostro vi è sito l'ovale di Giacomo Zampa che raffigura il Santo nell'atto di benedire un modello della città che un angelo gli porge.
La navata centrale è coperta da un soffitto a capriate, mentre il prolungamento dell'abside presenta una volta a botte. Inoltre si segnala: l'arcata della cappella Ferri del 1536 scolpita in sasso d'Istria da Jacopo Bianchi; i dipinti di Marco Palmezzano; stucchi e affreschi di Livio e Gianfrancesco Modigliani; decorazioni di Antonio Tempesta; opere pittoriche di Domenico Crespidetto detto “il Passignano”; Ludovico Cardi detto “Cigoli”; Baldassarre Carrari e di Santi di Tito in collaborazione con il figlio: Tiberio Titi e Francesco Menzocchi, infine L'Assunzione della Vergine di Rutilio Manetti e il coro ligneo del sec. XVI opera di Alessandro Bigni.
Cattedrale di S. Croce: è il Duomo risalente al sec. XII in stile romanico greco; al suo interno si ammira la xilografia della Madonna del fuoco sita in una cappella Santuario realizzata da Domenico Paganelli tra il 1619/36, coperta da cupola ottagonale con alto tamburo affrescato e rifinito a tempera di Carlo Cignani. Nelle nicchie sono affrescati i quattro Evangelisti ad opera di Giuseppe Maria Mazza, mentre i pennacchi presentano putti in stucco di Filippo Balugani.
La cappella del Sacramento sorge nel 1490 per volontà di Caterina Sforza con altare maggiore affiancato da altri due altari, dei quali su quello di sinistra vi è sito l'affresco del quattrocento “la Vergine ferita” di autore ignoto e così chiamato per un colpo di coltello sulla faccia della Vergine.
Il Crocifisso dal valore storico del sec. XII con la Croce semplice e nera presenta tracce di decorazione policroma ed escrescenze che suggeriscono una cornice gemmata; sul capo di Gesù la scritta: “Rex Iudeorum“ (Re dei giudei).
Chiesa di S. Giovanni Apostolo: dopo secoli di abbandono oggi accoglie mostre ed esposizioni di livello internazionale, nonché sede della Pinacoteca e dei Musei Civici.
Basilica di S. Pellegrino Laziosi: risalente al sec. XII esternamente in stile neoclassico mentre l'interno è barocco, eretta su di una preesistente Chiesa dedicata a S. Agnese come ci mostra il portale ogivale della facciata. L'interno è a tre navate con dieci altari laterali; notevole è il trecentesco coro ligneo unico esempio di stile gotico in Romagna.
Per l'importanza delle opere in esse custodite fu dichiarato “MONUMENTO NAZIONALE“ e oggi al suo interno conserva: il monumento sepolcrale di Luffo Numai scolpito nel 1502 da Tommaso Fiamberti e Giovanni Ricci; la sala risalente al trecento del capitolo in cui vi è il Crocifisso miracoloso e davanti al quale S. Pellegrino ottenne la guarigione istantanea dalla cancrena alla gamba di Giuliano da Rimini.
Dal 1345 l'ordine religioso nella Chiesa è curato dai “Servi di Maria“ custodendo il corpo di S. Pellegrino Laziosi che si trova dal settecento nel Santuario ed è meta di pellegrinaggio specie nel giorno in cui si festeggia.
Chiesa della SS. Trinità: risalente al 1782 in stile neoclassico. Dell'antica costruzione resta il campanile del trecento il quale si erge a lato della facciata e soltanto nel 1938 vi sono state aggiunte le cinque cuspidi.
L'interno è a navata unica con quattro cappelle per lato; sull'altare maggiore campeggia la tela “La Trinità, S. Francesco di Sales, S. Vincenzo dè Paoli e Giovanna Francesca Fremiot de Chantal”, la quale fu realizzata da Giuseppe Marchetti. Due affreschi monocromi opera di Pietro Santarelli si trovano ai lati del presbiterio e raffigurano “S. Mercuriale che battezza un neofita e S. Mercuriale che calpesta il drago”. Inoltre custodisce un bassorilievo di Antonio Canova; un S. Francesco di Guidaccio da Imola e la tomba del pittore Melozzo degli Ambrosi.
Chiesa del Carmine: del 1735 in stile barocco, nel 1841 venne impreziosita con il portale del quattrocento in pietra d'Istria, un capolavoro di Marino di Marco Cedrino e rappresenta le glorie della famiglia Ordelaffi.
L'interno a navata unica con ai lati cinque cappelle divise da lesene dai capitelli corinzi e tutta in stile barocco. La volta a botte è affrescata e suddivisa in cinque sezioni ad opera di Gaetano Alemanni in un primo momento e finiti poi da Giuseppe Marchetti e Giuseppe Alberi nel 1783.
Chiesa del Corpus Domini: del 1781 in stile neoclassico con interno preceduto da un atrio a pianta rettangolare e scandito da colonne e lesene ioniche; la cappella a destra dell'ingresso ospita la raffigurazione di S. Ignazio opera di Gaetano Gandolfi.
Il presbiterio è introdotto da un grande arco a tutto sesto e sull'altare di sinistra vi è una piccola statua in legno di castagno la quale raffigura la Vergine in trono con il Bambino detta “Madonna di Germania“ datata XIII sec. S. Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kostka incoronati opera di Gaetano Gandolfi.
Il monastero è articolato su due chiostri porticati e collegato via sotterranea all'adiacente Chiesetta della Beata Vergine Addolorata, occupata dalle suore di clausura clarissa urbaniste. Qui vi sono custoditi bassorilievi del quattrocento e cinquecento, nonché una pregevole tavola di Marco Palmezzano la quale raffigura l'andata al Calvario.
Chiesa di S. Antonio Abate in Ravaldino: la prima pietra risale al 1705 e fu completata nel 1778; la facciata si presenta con andamento semicircolare come se volesse abbracciare i fedeli. L'interno ha pianta ottagonale e due altari custodisce opere: una pala di Antonio Fanzaresi; un organo del 1858 di Alessio Verati; un quadro di Marco Palmezzano e una pietà di Livio Agresti; il “Crocifisso dei condannati“ risalente al cinquecento e così chiamato poiché nel periodo pontificio era usato nelle processioni dei condannati dalle carceri al patibolo, accompagnandoli fino all'ultimo istante di vita e retto dal religioso detto “confortatore“; si può dire che il Crocifisso fu l'ultimo oggetto terreno che videro i condannati.
Chiesa di S. Antonio Vecchio: del sec. XII in stile romanico e sconsacrata nel 1798; nel sec. XIX venne adibita a sala da ballo col nome “la Gran Bretagna“; nella prima guerra mondiale ospitò la caserma per militari convalescenti e infine a bottega di alimentari. Negli anni 50 del novecento venne adibita a Sacrario dei Caduti.
Oggi dell'antico impianto romanico presenta la facciata in laterizio con bifora e resti di due affreschi; l'interno presenta due grandi lapidi e nell'abside vi è un'opera di Pietro Angelini “L'apoteosi dell'eroe“ e una di Enzo Pasqui “il bersagliere di Tychovskoy” ad olio su masonite datato 1969 e primo classificato al concorso nazionale “il Bersagliere“.
Chiesa di S. Lucia: del 1614 in stile barocco interno a navata unica con tre cappelle per lato; nelle nicchie dei pilastri vi sono le statue lavorate in stucco da Antonio Trentanove e raffigurante i quattro Evangelisti. Opere pittoriche e scultoree arricchiscono le pareti e le cappelle, mentre la volta è stata affrescata da Enrico Piazza nel 1914; sull'altare maggiore si trova l'urna che dal 1362 al 1964 custodì i resti di S. Ruffillo.
Chiesa di S. Maria della visitazione: conosciuta anche come Chiesa del Suffragio del 1723 in stile barocco. La Chiesa è a pianta ellittica e l'interno è scandito da pilastri e colonne, le pareti sono opera di Serafino Barozzi mentre i profeti sono opera di Jacopo Guarana. L'altare maggiore custodisce la Visitazione e i Santi Francesco Saverio e Giovanni Nepomuceno opera di Filippo Pasquali.
L'area sita tra la Chiesa, l'antistante Palazzo Serughi e il palazzo Talenti-Framonti è chiamato “il Trebbo di Mozzapè” poiché trebbo deriva dal latino “trivium“ ed è storicamente frequentato da cittadini e forestieri.
Palazzo Serughi: risale al cinquecento e attualmente è sede della Camera di Commercio della provincia di Forlì-Cesena. Il palazzo dal 1930 ospitò “il caffè ad Macaron“ il quale poi prese il nome di “Caffè della posta“ frequentato dalla Forlì bene e aperto tutta la notte. Si presenta in forme dell'ottocento; tra il 1964/73 venne ristrutturato lo scalone del settecento e nel vestibolo dell'entrata al pubblico si trova un altorilievo di ceramica policroma opera di Angelo Biancini.
Palazzo Talenti-Framonti: o palazzo Mangelli o anche palazzo del Credito Romagnolo, esso è un palazzo storico. L'aspetto neoclassico è opera dell'architetto Giuseppe Missirini, le decorazioni interne sono opera di Felice Giani e della sua scuola; esso è noto come “Loggia dei Signori”.
Chiesa di S. Filippo Neri: risalente al 1642 con facciata molto semplice e l'interno ricco di stucchi e affreschi a navata unica e due cappelle per lato. Il pozzo è sito al centro della navata e storie di S. Filippo Neri che arricchiscono la Chiesa sono opera di Agostino Mitelli e di Angelo Michele Colonna.
Chiesa del miracolo: o del miracolo della Madonna del fuoco del 1797 in stile neoclassico. Dove oggi sorge il tempio vi era una scuola in cui avvenne il miracolo: nella notte fra il 4/5 febbraio del 1428 scoppiò un incendio nella scuola e durò diversi giorni, quando esso fu domato venne scoperto un muro ove si trovava una tavoletta in legno e su di essa una xilografia della Madonna col Bambino risalente al trecento, la quale venne poi denominata “Madonna del fuoco“.
La facciata si presenta in stile neoclassico con forma semi-circolare, nella lunetta sopra il portale vi è un affresco raffigurante il miracolo ad opera di Gaetano Gandolfi; ai lati due paraste con dei capitelli che reggono il frontone. L'interno è a pianta centrale in stile neoclassico, il soffitto presenta una cupola decorata a cassettoni nel cui centro vi si apre una lanterna.
Madonna del fuoco: è un'immagine delle più antiche xilografie oggi esistenti, scampata ad un incendio e custodita nel Duomo di Forlì. A memoria di tale evento durante la notte tra il 4/5 febbraio dalle finestre delle abitazioni della cittadina vengono esposti lumini rossi e lasciati ardere tutta la notte, mentre dove un tempo vi era la scuola dov'era l'immagine, oggi sorge la Chiesa del miracolo della Madonna del fuoco.
Piadina della Madonna: antistante al Duomo il 4 febbraio vi è la fiera con bancarelle di ogni tipo tra cui vendono un pane semplice, dolce e antico con semi di anice e zucchero.

la ricetta
500 gr farina (manitoba)
mezzo cubetto di lievito di birra
2 uova
100 gr zucchero
100 gr burro
15 gr semi di anice
200 ml circa di latte.

Sciogliere il lievito in 100 ml di latte tiepido a cui va aggiunto un cucchiaino di zucchero, mescolare in una terrina con 100 gr di farina; lasciare a lievitare per un paio d'ore. Con la restante farina fare una fontana unire zucchero, burro, uova, anice e l'impasto in precedenza preparato. Impastare aggiungendo latte quanto basta in modo da ottenere un impasto liscio ed elastico ma non troppo morbido. Ancora tre ore di lievitazione; riprenderlo e dividerlo in palline, quindi stenderle ad uno spessore di circa mezzo cm. e lasciare a lievitare ancora per un'ora. Spennellare il centro delle focaccine con un po' di acqua e spolverizzare con zucchero semolato. Cuocere in forno statico a 180° per circa 25 minuti o comunque fin quando diventano rosate.


Chiesa di S. Michele Arcangelo: risale al 1517 con l'annesso convento di religione cattolica e ortodossa; con la soppressione degli istituti religiosi durante l'occupazione Napoleonica divenne tribunale e carcere. All'interno della Chiesa vi è una Chiesetta ed ospita una tenda raffigurante S. Michele Arcangelo.
Chiesa di S. Giuseppe: eretta nel 1641 è piccola ma presenta decorazioni in barocco, in finto damaso rosso con stalli in legno intagliato su tre lati; al centro della volta superiore è la Gloria di S. Giuseppe opera di Giacomo Zampa. Gli ornamenti e le strutture architettoniche sono opera di Angelo Zaccarini; custodisce la tela raffigurante S. Giuseppe opera di Guido Cagnacci. É utilizzata per eventi e non officiata, è sede del coro della Cattedrale di Forlì.
Pieve di S. Maria in Acquedotto: del sec. XIII sorge poco fuori dell'abitato dove secondo la tradizione passava l'acquedotto di Traiano; la Chiesa attuale del sec. XIII sorge su di una Chiesa bizantina, esternamente è alleggerita da sei lesene e lungo tutto il perimetro si trovano piccoli archetti pensili, i quali decorano e slanciano la struttura della Chiesa.
La facciata presenta un grande portale con lunetta cieca sormontato da bifora; tutto il cornicione presenta una fascia continuo in cotto con elementi romboidali accostati secondo uno schema detto “a diamante“. L'interno è spoglio con tracce di affreschi; interessante è un bassorilievo in stucco policromo del quattrocento, esso è custodito in una teca di metallo e vetro raffigurante la Madonna col Bambino.
Le prime attestazioni che ci parlano della pieve risalgono al 963. Il campanile è poderoso, tozzo e alto 15 metri e databile attorno al mille; esso presenta delle lesene laterali le quali incorniciano gli spigoli. A metà del campanile è presente una bifora a doppia colonna in marmo greco di cui una intrecciata intorno all'altra.
All'esterno vi è una colonna di marmo grigio con scure venature di epoca romana del IV sec. d. C. Non si conosce la sua funzione ma sembra essere un segnale militare o una pietra miliare della via Emilia. Essa fu spostata dalla sede originaria e capovolta per incidervi un'iscrizione, la quale fa riferimento a Costanzo II databile 328/332 con la seguente epigrafe: “imp-d-n fl-ivlio-costantio nobilissimo-caes”; tra il 351 e 352 venne eseguita una nuova iscrizione si nota una riga cancellata la quale doveva riportare la dicitura: “magnentio invicto principi”, mentre le righe successive riportano: “liberatori orbis-romani restitutori-libertatis et- reipvblicae conservatori-militum et- provincialium domino-nostro victori-et.trivmphatori semper- avgvsto“ con tutta probabilità è una sorta di propaganda a favore di Magnenzio nella lotta per il potere. Non è l'iscrizione originaria ma una reincisione voluta dall'arciprete della pieve nel sec. XVII.
Casa Palmeggiani: risale al quattrocento e possiede una facciata con portico a tre campate sorretto da quattro grosse colonne; una campata ha un doppio arco ribassato mentre le altre due hanno una coppia di archetti pensili, che vanno a fondersi al centro di un capitello a goccia in pietra locale decorato da una rosa a quattro petali.
Casa Maldenti: è un complesso comprendente un intero isolato, il primo nucleo risale al XV sec. e abitato dalla famiglia ghibellina dei Maldenti. Il portico è sorretto da quattro pilastri ottagonali con capitelli a foglia angolare; nei sotterranei vi sono tracce di un luogo di culto con tabernacolo in arenaria del IX sec. e le vasche di una conceria. La parte centrale si sviluppa attorno al cortile del seicento, mentre la torre venne sopraelevata e munita di merli nell'ottocento.
Palazzo dell'ex collegio aeronautico: in stile razionalismo Italiano fu eretto per volere di Mussolini nel 1937. Ingresso di piazzale della Vittoria ci presenta una scalinata a mosaico con due rampe laterali anch'esse a mosaico, l'atrio con muri a mosaici illustrano le gesta della prima e seconda guerra mondiale con tessere bianche e nere; dall'atrio si accede alla sala detta “mappamondi“ con disegni alle pareti dei planisferi, mentre al secondo piano è disegnata la tavola periodica degli elementi e oggi ospita il liceo ginnasio.
Ingresso di viale Roma si presenta con tre pilastri in travertino di Rapolano, l'atrio è detto “delle costellazioni“ con pavimento in mosaico bianco e nero rappresentando la carta celeste dell'emisfero meridionale, mentre nel soffitto vi è riprodotta a tempera l'emisfero settentrionale. Nel piazzale antistante vi è una statua dello scultore Francesco Saverio Palozzi raffigurante “Icaro“.
Palazzo delle poste: è ritenuto uno degli edifici più ricchi sotto il profilo artistico; sono visibili opere in travertino, due sculture bronzee raffiguranti l'aquila romana; il cornicione è decorato da 52 testine di leone in cemento graniglia. Le sale del pubblico sono i più adorni del palazzo, le pareti e i banconi degli sportelli si presentano in marmo di Trani venato; i pavimenti realizzati a settori con marmi colorati e disegni geometrici, mentre i soffitti sono decorati a stucco.
Palazzo Hercolani: fino al 1844 appartenne alla famiglia Hercolani, in esso vi è custodito un dipinto ad opera di Pompeo Randi risalente al 1869 e raffigurante la Beata Vergine del fuoco con i Santi: Mercuriale, Pellegrino, Marcolino e Valeriano, presentando sullo sfondo un panorama della Forlì dell'epoca. Oggi vi ha sede l'Assicoop Romagna che ha eseguito il restauro negli anni ottanta.
Palazzo Paulucci de Calboli: del 1700 in stile barocco e al suo interno custodisce uno scalone ad opera di Giuseppe Signorini di Fermo; i gruppi di statue Eracle, Cerbero, Teseo e il Minotauro; l'oratorio ellittico con volta ad ombrello.
Palazzo di Piazza Paulucci: è un edificio storico del 1673 oggi sede della Prefettura.
Palazzo Merlini: è un edificio storico in stile barocco del settecento internamente decorato con numerosi stucchi ed affreschi ad opera del quadraturista Davide Zanotti e figurinista Giuseppe Marchetti.
Porta Schiavonia: l'unica sopravvissuta fu più volte abbattuta e ricostruita quella che ammiriamo risale al 1743, realizzata in stile barocco con arco a tutto sesto.
Rocca di Ravaldino: conosciuta anche come rocca di Caterina Sforza ed è una cittadella fortificata ricostruita e rafforzata nel trecento. Oggi una parte è destinata a sede espositiva, mentre un'ampia area ospita le carceri.
Cimitero degli indiani: è un cimitero di guerra ed ospita le spoglie di militari indiani morti nella II guerra mondiale, ospita 496 caduti della IV – VIII e X Division e 3 dell'esercito britannico; in totale il monumento onora la memoria di 769 caduti.

Musei
S. Domenico: nel complesso del XIII sec. dov'era un convento domenicano al suo interno è ospitata la pinacoteca civica ed è sede di esposizioni temporanee.
Palazzo Romagnoli: è sede museale con scalone monumentale decorazioni ai soffitti con collezione Verzocchi (una raccolta di quadri unica nel suo genere).
Palazzo del Merenda: sulla facciata del palazzo in una nicchia vi è la statua della carità opera dei Fratelli Ballanti Graziani; lo scalone monumentale è fiancheggiato dalle statue della Magnificenza e della carita ad opera di Francesco Andreoli. Ospita l'armeria Albicini con 410 pezzi che vanno dal XV sec. costituite da: picche, alabarde, maglie in ferro, corazze, morioni, frontali da cavallo, spade, coltellacci, pugnali, sciabole ecc. Inoltre vi ha sede la biblioteca “Aurelio Saffi”.
Palazzo Gaddi: con stanze riccamente decorate custodisce il museo romagnolo del teatro e degli strumenti musicali, con materiali, strumenti e cimeli dell'ottocento/novecento.
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